Abbiamo incontrato Vittorio Sciosia, una delle firme più note dei reportage fotografici di Itinerari e Luoghi. Autore di bellissimi ritratti e di racconti per immagini emozionanti e coinvolgenti. Tra gli ultimi “Na Tazzulella ‘e cafè” a pagina 68 del numero 295 della nostra rivista, in questi giorni in edicola
Vittorio ha una voce entusiasta quando parla del suo lavoro. Voce che si vela un po’ guardando al futuro, quando questo suo mondo potrebbe non solo trasformarsi radicalmente ma quasi scomparire.
Il suo mondo è la fotografia di viaggio.
Ma non generica.
Protagonista dei suoi scatti nettissimi, riconoscibili e intensi, è sempre l’uomo, nella sua quotidianità, nella sua asprezza. L’uomo che lavora, che ride, che parla. L’uomo che racconta, che soffre e che gioca.
“Da quando ho iniziato, dopo gli studi universitari, a trasformare quella che era una mia passione in un modo di vivere, ho sempre cercato di raccontare i luoghi che visitavo, che vivevo e che attraversavo, fotografando le genti e i popoli che incontravo lungo il mio cammino. Vedi – spiega Vittorio – un paesaggio, per quanto unico, non è sempre iconografico. Un bosco è un bosco, un deserto può essere scambiato tra i tanti che ci sono al mondo. Un paesaggio montano può essere generico. Ma un volto, i riti, le persone, ecco, quelle sono uniche e non le dimentichi e sono capaci di raccontarti tutto il mondo che le circonda”.
Vittorio nasce a Milano nel 1964 ma ha vissuto fino alla laurea a Napoli e questo ha segnato il suo spirito e il suo carattere. Fin da ragazzo viaggia, lascia l’Italia per inseguire il suo sogno: prima in Olanda, tra Amsterdam e Rotterdam e poi in Francia, prima ad Avignone e poi vicino Marsiglia.
Una volta finiti gli studi ha deciso di provare a fare delle sue due passioni, i viaggi e la fotografia, il lavoro della vita.
Quindi, ha trascorso poco meno di un anno in Centro America, a raccogliere immagini e a cercare storie da raccontare. Al ritorno in Italia ha proposto ad alcuni giornali i suoi lavori e da quel momento non ha mai lasciato la macchina fotografica.
“Inizialmente scrivevo anche i testi dei mei servizi fotografici. Adesso molto meno e solo quando mi viene chiesto. Le foto non hanno barriere, non hanno confini. Un articolo lo scrivo in italiano e resta legato alla testata che me lo pubblica. Una foto non si ferma. Può essere ripresa da testate in giro per il mondo. Parla una lingua tutta sua ed è sempre un linguaggio universale quello che usa”.
Vittorio inizia a collaborare con Itinerari e Luoghi da quando l’amico e collega di sempre, il direttore, Enrico Caracciolo, lo chiama per alcune collaborazioni.
Ne nasce un sodalizio vincente. La sensibilità e l’eleganza di Vittorio sposano quelle della rivista e così nascono servizi unici. Intensi.
“A causa di questa pandemia, o grazie a lei, sto riscoprendo l’Italia, quel cortile dietro casa che spesso trascuriamo e nel quale, a distanza di tempo, ritroviamo tesori dimenticati e nascosti. Di questa Italia mi piace documentarne il ritorno alla terra, che sta avvenendo in molti suoi angoli. La gente lascia le città e va alla ricerca di una vita più autentica, più sana. Di rapporti sinceri e concreti. La necessità di stare bene è come se ci trasportasse verso le nostre radici, verso quella terra da cui tutto è iniziato”, ci dice Vittorio, al quale chiediamo del suo rapporto così forte con Napoli, sua città di adozione e alla quale ha dedicato immagini bellissime, anche in bianco e nero, sulla nostra rivista, attualmente in edicola.
“Napoli è il Medioriente di Italia. Non c’è città più mediorientale di lei: c’è una medina, ci sono i suq. Le sue vie hanno un colore, un profumo, un suono. Detesta le imposizioni. Le regole. Non puoi imporre nulla ad un napoletano. Stai certa che per principio farà il contrario di quello che gli suggerisci di fare. Napoli ha una cultura che è il risultato di stratificazioni, di migrazioni, passaggi, dominazioni: saraceni, francesi, spagnoli qui si sono fermati e hanno lasciato una traccia e il napoletano di oggi è tutte queste culture e nessuna di loro. Vive la sua vita rispondendo a regole ancestrali, a tradizioni passate, ad un credo che sta nel cuore e nella pancia non nel cervello e nella logica. Essere napoletani è un qualcosa che appartiene al DNA ed è unico”.
Una dichiarazione d’amore quella di Vittorio per questa città così amata ma al contempo così difficile da amare. Terra di mezzo di un’Italia che comunque qui trova la sua massima espressione, nel bene e nel male.
Una dichiarazione di amore che Vittorio fa anche al suo mestiere quando getta uno sguardo sulle generazioni future.
“Ho fortissimamente amato questo mio lavoro e tutt’oggi ogni mattina mi sveglio felice di fare quello che ho da sempre desiderato realizzare. Sperimento tecniche nuove (oggi i droni), brucio chilometri, incontro persone che mi lasciano sempre un pezzetto di sé. Ma scorgo, nel prossimo futuro, la fine di questo meraviglioso percorso. La fotografia di viaggio sta esaurendosi. Ai ragazzi giovani che vogliono intraprendere questa professione dico di guardare verso lo still life, verso la fotografia industriale o di prodotto. I social hanno cambiato regole e percezioni. I racconti di viaggio si fanno brevi stories su Instagram. Il digitale ho portato tanto on line con esiti assolutamente inattesi ma a rimetterci è stata la carta stampata. È per me bello pensare che faccio ancora parte, però, di questo presente in cui, grazie a riviste come Itinerari e luoghi posso raccontare e mostrare quel giardinetto dietro casa, così ricco di tesori nascosti e di sorprese inaspettate”.
a.m.