Quando l’imperfezione rende perfetto il risultato
La Val di Chiana senese rappresenta il punto di contatto tra Toscana, Umbria e alto Lazio.
In pochi chilometri cambia tutto: tradizioni, sfumature dei paesaggi e anche la lingua; anzi, la parlata.
Come se, superata una collina, fosse stata aperta e richiusa alle spalle una porta trasparente messa a divisorio tra le diverse forme di cultura presenti in questa terra.
Il vero comune denominatore, alla fine, rimane il cibo; come nel caso dei pici, parola che nel senese si pronuncia con una “c” particolarmente scivolosa.
Ma cosa sono i pici?
I pici sono solo (solo?) degli spaghettoni tirati rigorosamente a mano, fatti e consumati freschi.
Gli ingredienti dell’antichissima ricetta originale sono quattro: acqua, farina, un po’ di sale e poi – e qui viene il bello – la capacità di saperli fare, di saper impastare a lungo e infine di riuscire a ricavare, “appiciando” sotto il palmo della mano, questi spaghettoni abbastanza grossolani.
Una grossolanità che, oltre a essere una sorta di marchio di qualità, fa sì che i pici riescano a catturare al meglio il condimento.
È uno di quei pochi casi in cui è proprio l’imperfezione a rendere perfetto il risultato.
Una volta, specie nell’ambiente contadino della Val di Chiana, ma in qualche misura ancora oggi un po’ ovunque nel territorio, i pici erano il primo piatto del giorno di festa e venivano conditi in mille modi diversi, che potevano variare a seconda della stagione, o per la distanza da certi luoghi chiave o per le abitudini dei padroni di casa.
Questo per dire che nelle vicinanze dei Laghi di Chiusi e di Montepulciano potevano anche essere conditi con un sugo a base di uova di pesce; in casa di cacciatori, invece, quasi sempre il sugo era a base di cacciagione (qui abbondano cinghiali e caprioli).
Ma per la maggiore andava, e va tutt’oggi, una salsa all’aglione; che poi non è un aglio normale, ma una varietà autoctona di grandi dimensioni, con un sapore più delicato e che, soprattutto, non rilascia quell’aroma non gradito da tutti.
In autunno, il matrimonio perfetto è con un sugo di funghi; in tutte le stagioni con un soffritto di briciole o con il sugo di “nana”, che sarebbe il nome in vernacolo dell’anatra.
Come avrete capito, pici e sughi vari richiedono di essere stati allievi di una scuola che difficilmente vedremo esibita dai grandi chef in televisione: quella delle massaie con i capelli bianchi, abituate a trafficare su un tavolo di cucina piuttosto che a frequentare reality show.
Malgrado il martellare mediatico di una certa nouvelle cuisine, questo patrimonio di saperi/sapori per fortuna non sta andando disperso; anzi, l’arte di appiciare è più viva che mai e ogni anno è protagonista di sempre più sagre e appuntamenti nella Val di Chiana senese.
Sono almeno 19, infatti, gli eventi che hanno come piatto principe i pici, al momento censiti in questo territorio;
è il caso della storica Sagra dei Pici, che da oltre 50 anni, alla fine di maggio, si svolge a Celle sul Rigo, un piccolo borgo nel comune di San Casciano dei Bagni.
Sono giornate che vedono coinvolta l’intera comunità, uomini e donne, nonne, mamme e bambini, nella preparazione corale di montagne di pici.
Perché i pici, oltre a essere un gustosissimo piatto della tradizione, vedono nella loro preparazione, nell’appiciamento, anche un momento d’incontro comunitario dal fascino fermo nel tempo.
Proprio per questo motivo, nel 2014 si è costituita ufficialmente a Chianciano Terme l’Associazione Amatori Pici Chianciano, che da semplice rimpatriata periodica di appassionati è diventata un vero e proprio fenomeno: è stata infatti chiamata per dei cooking show in eventi importanti in Italia e all’estero e ha ricevuto anche l’attenzione di mamma Rai, che ne ha ospitato una delegazione nella trasmissione Geo&Geo.
Oggi l’associazione conta diverse centinaia di iscritti, che si ritrovano spesso e volentieri ad appiciare, preparare sughi e organizzare cene comunitarie.
In un anno, questi amatori/amanti dei pici ne producono circa dieci quintali.
Sono incontri in cui, gomito a gomito, appiciano di buona lena medici e casalinghe, ingegneri e insegnanti, impiegati e studenti, giovani e anziani, con l’unico intento di divertirsi, portare avanti una delle tradizioni più sentite e, ovviamente, gustare un piatto di pici fatto come Dio comanda.
A questo punto avrete capito che i pici sono qualcosa di più di un piatto di spaghettoni fatti a mano.
Non a caso nel 2015 sono entrati ufficialmente nel novero dei tesori iscritti nell’Inventario Nazionale del Patrimonio Agroalimentare Italiano, istituito presso il Dipartimento delle politiche competitive e della qualità agroalimentare del ministero delle Politiche Agricole.
Un riconoscimento prestigioso che ha lasciato di stucco le massaie rurali della Val di Chiana senese, che mai si sarebbero immaginate di vedere i “loro” pici e quell’antica gestualità iscritta in una cosa così complicata.
Sì, perché in questo prestigioso registro i pici sono entrati a braccetto con quella che è stata definita “l’arte di appiciare”.
Esatto, il ministero parla proprio di arte; e se provate un piatto di pici fatti secondo tradizione e conditi come si deve, non potrete fare a meno di dargli ragione.