Se un prodotto alimentare è espressione di un territorio, allora il formaggio Bitto è senza dubbio espressione delle terre alte al confine tra le province di Bergamo e di Sondrio, di quelle Prealpi Orobie la cui storia e le cui tradizioni sono state solcate nei secoli dalle vite e dal lavoro di mandriani, allevatori e casari transumanti. Non a caso queste zone sono conosciute anche come “Valli del Bitto”, a riprova di quanto la produzione casearia sia fondante.

Dal Formai de Mut al Bitto, una sfilza di DOP

Facciamo un passo indietro. Il territorio alpino e prealpino è tradizionalmente patria di formaggi fin dai tempi antichi. La produzione casearia assicurava alle genti delle terre alte la possibilità di conservare il latte degli animali, mantenendone le caratteristiche organolettiche, e di valle in valle e di alpeggio in alpeggio si sono stratificati metodi e tipicità produttive caratteristici e rappresentativi dei vari territori. La provincia di Bergamo è sotto questo profilo una delle più ricche: oggi vanta infatti ben nove DOP casearie (tra cui Taleggio, Formai de Mut, Strachitunt e Bitto) e tre presidi Slow Food (Agrì di Valtorta, Stracchino all’antica e Storico Ribelle).

Ed è proprio in questa ricchezza che va ad inserirsi anche la storia del bitto, produzione antica e tipica degli alpeggi tra Valtellina e Valle Brembana. Con una specificità: due consorzi diversi a proteggere in modo diverso la medesima produzione… E infatti ci sono sia il Bitto DOP, sia lo Storico Ribelle (Presidio Slow Food).

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Passo san Marco (ph. Erica Balduzzi)

Bitto DOP o Storico Ribelle?

Pare che le origini della produzione del bitto possano essere fatte risalire addirittura ai Celti, che in queste valli tramandarono di generazione in generazione le tecniche per lavorare e mantenere il latte degli animali locali in alpeggi: la stessa parola “bitto” deriverebbe dalla parola celtica “bitu”, cioè perenne, dal momento che una volta stagionato il formaggio poteva essere conservato per molti anni. Si tratta di un formaggio grasso a pasta cotta e semidura, prodotto lavorando il latte vaccino crudo intero in loco due volte al giorno, subito dopo la mungitura (quindi al mattino e alla sera), a cui può essere aggiunto nel caso del latte caprino crudo (non più del 10% del totale).

La denominazione di origine protetta (DOP) per il bitto stata ottenuta a metà degli anni Novanta. Questo ha portato da un lato a una maggiore conoscenza del prodotto, dall’altro ha sollevato anche una ondata di opposizione che ha trovato una soluzione soltanto negli anni scorsi. A seguito del riconoscimento della DOP per il bitto e la conseguente modifica del disciplinare tradizionale di produzione per favorire una maggiore produzione a prezzi più abbordabili, infatti, un gruppo di produttori caseari della Valgerola e della Valle del Bitto di Albaredo scelsero di portare avanti una vera e propria opposizione alla denominazione, continuando a produrre il bitto secondo l’antico metodo… Cioè senza integrazioni di mangimi e a partire dal latte munto esclusivamente in alpeggio, utilizzando metodi e attrezzi della tradizione locale. I “ribelli del bitto” diedero così origine a un nuovo – ma antico – marchio: lo Storico Ribelle, presidio Slow Food, prodotto solo ed esclusivamente sulle Prealpi Orobie tra Sondrio e Bergamo.

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Il Bitto è prodotto nelle Prealpi Orobie tra Sondrio e Bergamo (ph. Erica Balduzzi)