Il poeta Albino Pierro e la Rabatana, il Palazzo dei Poeti e i templari, i calanchi e la basilica di Santa Maria d’Anglona. Piccolo viaggio a Tursi per ascoltare la voce delle pietre. Come ama ripetere Paolo Popia “il turista qui non deve venire. Servono visionari, anime pure che cercano suoni, profumi. Le cose che non si vedono”.

di Paolo Simoncelli

Tursi, veduta della Rabatana

L’ITINERARIO (a piedi)

Nel cuore di Tursi

  • Punto di partenza: Cattedrale
  • Punto di arrivo: Palazzo dei Poeti/ruderi castello
  • Lunghezza: 1 km circa (2 km se si raggiunge a piedi il convento di S. Francesco).
  • Note: Accompagnati dalle 14 targhe con le poesie di Pierro, si sale dalla parte bassa del centro storico ai rioni S. Filippo e S. Michele e poi alla parte alta, la Rabatana. Si percorrono ripidi labirinti di strade, alcune senza nome. L’itinerario in senso inverso, dall’alto al basso, evita la dura salita.

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HIGHLIGHTS

La Rabatana

Il quartiere arabo della Rabatana è il teatro senza tempo raccontato dalla vita e le parole di Albino Pierro, poeta più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, appassionato e tormentato come le Jaramme (burroni) cantate dal poeta che scolpiscono il paesaggio tursitano.

Echi e silenzi annunciano un altro mondo: un vecchio arco di pietra, strade deserte, gatti annoiati sotto una sedia di paglia. E l’abisso tutto intorno. Alcune case sono salve, belle e restaurate. Altre in rovina. Luci e ombre, il bianco e il nero. Era qui che si trovava il castello eretto dai Goti nel V sec. d. C. e poi fortificato dagli arabi. Arrivati a Tursi nell’VIII-IX sec., si insediarono nella “tana dei Saraceni”, la Rabatana appunto, da al-Ribāṭ, villaggio fortificato.

Albino Pierro

Rabatana, Casa Museo Albino Pierro

In questo mondo i sassi parlano… Ecco perché Albino Pierro (1916-1995), non poteva che nascere qui.

Il Nobel gli è sfuggito per un pelo, anche per faccende politiche complicate da raccontare. Leggete Intrigo a Stoccolma di Rocco Brancati e ne saprete di più. La casa natale è occultata dalle linee architettoniche di un paese in bilico su forre, scoscendimenti e jaramme, i burroni.

La poesia che le ha dedicato, A Ravatène, è anche una dichiarazione d’amore al paese natio. “Voglio bene alla Rabatana, perché c’è morta la mamma mia: la portarono bianca sopra la sedia, con me nelle fasce come una Madonna, col Bambinello in braccio…”.

La poesia è in dialetto tursitano, lingua che Pierro salvò dall’oblio.

Tursi, Rabatana, Casa Museo Albino Pierro, particolare scrivania

La Casa Museo “Albino Pierro” si trova nel centro storico di Tursi, nel rione San Filippo, sopra piazza Plebiscito.

Il monaco guerriero

Nel silenzio dei vicoli, si nasconde un segreto, il sarcofago del cavaliere templare ritrovato durante gli scavi del ‘51. Il misterioso personaggio, a cui Salvatore Verde ha dedicato un libro, fu sepolto assieme al cavallo, alla spada e centinaia di monete. Ho impiegato un bel po’ per trovare l’arco che fu il luogo del ritrovamento.

Ma nessuno sapeva nulla. Potevo solo immaginare servi, fanti e adepti della confraternita indaffarati nella preparazione della sepoltura, più o meno ai primi del ‘300. L’unica speranza di riesumare il monaco-guerriero è affidata ai pennelli di Luigi Carbonera, il vecchio pittore di Tursi che immortala mondi fantastici.

Sarebbe bello rivedere il cavaliere al galoppo, mentre abbandona il paese diretto in Terrasanta.

Santa Maria d’Anglona

Paesaggio calanchivo tra Tursi e Anglona

Da Tursi direzione Anglona, si incontrano spettacolari calanchi a “spuma”, formati da tondeggianti, diafane formazioni. Proseguendo, altri metafisici calanchi “a crinale”, s’allungano tra le colline come gigantesche lame.

Anglona, paesaggio calanchivo

Un ultimo strappo in salita porta al Santuario di S.Maria Regina di Anglona, tutto quel che resta della città distrutta dall’incendio del 1379 sorta sui luoghi di Pandosia, remoto centro della Magna Grecia. Siete su un pianoro che domina le valli del Sinni e dell’Agri, in una pace francescana.

Il Santuario (XI-XIII sec.) dal campanile romanico con bifore a colonnine, mostra absidi semicircolari arabeggianti. La statua della Madonna di Anglona risale ai primi del ‘900. A destra dell’entrata, su un leggìo, la poesia di Pierro, Vene, Maronne, racconta la devozione di un laico.

INFORMAZIONI UTILI

Dove dormire

Dove mangiare

  • Relais Palazzo dei Poeti, via Manzoni, tel. 0835.532631/333.7544362 (Paolo Popia), www.palazzodeipoeti.it
  • Pinseria Lucana, vico Solferino 24 (accanto al Palazzo dei Poeti), tel. 340.8706472
  • Officina Zero, via Roma 73, tel. 329.9132173
  • Piccolo Ristoro, via Roma 53, tel. 0835.533068/347.0916301
  • Il Limoncello, contrada Acqua Salsa, tel. 0835.533098
  • Agriturismo Le Tre Colonne, contrada Piano Amendola, tel. 0835.532659, www.agriturismoletrecolonne.it

Da non perdere

  • Cattedrale, piazza Cattedrale, www.parrocchiatursi.org, ore 7-21.
  • Casa/Museo Albino Pierro/Parco Letterario, corso Umberto I 4, tel. 333.6401629 (Francesco Ottomano), WWW.albinopierro.it, visite via telefono o tramite mail. centrostudi.apierro@gmail.com.
  • Chiesa S. Filippo Neri, via Giannone/piazza Plebiscito, Carmine Morisco, tel. 347.2889725.
  • Chiesa S. Maria Maggiore, via Duca degli Abruzzi, tutti i giorni 10-12.30/15-17.30 (d’estate fino a sera), tel. 347.2889725 (Carmine Morisco, visita guidata gratuita).
  • Casa Etnografica Rabatanese/’U Stritue, via Duca degli Abruzzi 82, 100 metri sopra la chiesa di S. Maria Maggiore, Salvatore Di Gregorio, tel. 328.0134673, tutti i giorni 15-18 o su prenotazione.
  • Itinerario poesia pierrana, www.albinopierro.it, 14 targhe con le poesie di Pierro disseminate dal Municipio alla Chiesa di S. Maria Maggiore.

Contatti utili

  • Comune di Tursi, www.comune.tursi.mt.it.
  • Pro Loco, tel. 333.6401629 (Francesco Ottomano, presidente). Parco Letterario/Centro Studi Albino Pierro, via Umberto I 4, tel. 333.6401629 (Francesco Ottomano).
  • Tursitani, www.tursitani.it, giornale on line di Salvatore Verde, contenitore storico-culturale sul territorio.

L’ITINERARIO

Si parte dalla Cattedrale (origini sec. XVI) distrutta dall’incendio del 1988 e ricostruita nel 2006. Il portale bronzeo (2006) realizzato con tecnica a cera persa da Eduardo Filippo, mostra formelle raffiguranti scene religiose, allegorie e paesaggi tursitani.

All’interno Fonte Battesimale (1754) di G. Battista da Tursi, Annunciazione di cartapesta, moderno organo a 1397 canne della bottega Continiello di Monteverde, crocifisso ligneo (2003) di Elia Marzotto e la Madonna delle Grazie (1685) di Nicola Fumo, tra le più fulgide opere d’arte della Basilicata.

A proposito dell’incendio dell’8 novembre 1988, non si può non citare Don Nicola Romano.

Sprezzante del pericolo, avvolto in una coperta bagnata, sfidò le fiamme portando in salvo la statua del Santissimo. Da piazza Duomo e poi piazza Nigro, si sale corso Vittorio Emanuele fino a piazza Plebiscito.

Ci si arriva anche percorrendo stradine contorte ma più suggestive, via Oliva, via De Cristoforis, vicolo Ariosto, via S. Domenico, la parallela via Giannone con la Chiesa di S. Filippo Neri (dipinti settecenteschi del tursitano Domenico Oliva) e poi piazza Plebiscito.

La piazza è circondata da antichi edifici tra cui Palazzo Brancalasso, secondo la leggenda costruito dai demoni in una notte e sormontato da statue che sarebbero la loro materializzazione.

Era sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso. Da piazza Plebiscito prendete via Garibaldi fino al vecchio portale di Palazzo Brancalasso o del Barone con lo stemma di pietra della famiglia.

Da qui salite in via Umberto I e alla Casa-Museo Albino Pierro. Al pianterreno, oltre al bookshop è allestita la pinacoteca con le opere di artisti lucani ispirati dalle rime del poeta; tra queste Mia Nonna di Luigi Caldararo.

Al piano superiore ci sono lo studio del poeta coi mobili originali, la sala dove viene proposto un video informativo e la terrazza panoramica.

Rabatana, Palazzo dei Poeti

Dall’ingresso laterale di via Garibaldi si accede al Museo della Poesia Pierrana (quadri e poesie in un suggestivo ambiente domestico). Di nuovo in salita (balcone panoramico sul burrone e il convento di S. Francesco), continuate per via Umberto I fino alla Chiesa di S. Michele Arcangelo.

Poco lontano, in un labirinto di strade, si trova l’Arco di Palazzo Manfreda, dove 70 anni fa fu ritrovato il cavaliere templare. Nessuno però conosce questa storia e del resto, a parte la suggestione dei vicoli, non c’è nulla da vedere.

Tornati in via Umberto I, procedete fino ‘a pitrizze, ripida strada con gradoni che per 200 m. sale tra due burroni e arriva a via Duca degli Abruzzi, direttrice principale del quartiere arabo della Rabatana, affascinante groviglio di stradine dove vagare senza meta.

Da qui, scendendo via Pagano arrivate al The Mandarin Orangery Retreat e subito dopo al vecchio lavatoio accanto al ponte, su un selvaggio, profondo canyon.

Tursi, monastero di San Francesco, interno chiesa

Da qui, lungo la Strada Provinciale della Rabatana di Tursi e poi deviando a gomito a destra in salita per la strada comunale S. Francesco si arriva in 1 km al largo sentiero (non segnalato) che in 100 m. porta al Convento di S. Francesco, angolo di pace sulla collina est del paese da cui si domina il miglior panorama di Tursi.

Edificato nel 1200 (secondo una bolla papale nel 1441) e abbandonato a inizio ‘900, è in stato di degrado ma fu sede di una biblioteca e di cattedre filosofiche.

La Chiesa è un evocativo rudere (pericolante, si accede a vostro rischio e pericolo) col pavimento di antiche tombe di nobili e clero sventrate e razziate nei secoli; ci sono anche un paio di affreschi del ‘300 e altari barocchi sgretolati.

Una porticina immette nell’adiacente chiostro (in parte restaurato, lavori fermi da tempo), col colonnato dagli antichi capitelli.

Attenzione: si può arrivare al convento anche in auto da Tursi; percorrete via Santi Quaranta, attraversate ponte Latronico con l’adiacente Campo Sportivo Cuccarese e deviate subito a destra in salita lungo la strada comunale San Francesco che in circa 1 km arriva al sentiero a sinistra, non segnalato, per il Convento.

Se si continua in auto lungo la strada e poi si devia a gomito a sinistra, si torna al ponte e al lavatoio.

Tursi, Rabatana, Chiesa Santa Maria Maggiore, cripta, affreschi cinquecenteschi

Risaliti dal lavatoio passando splendidi scorci del paese e dei burroni circostanti, arrivate a via Duca degli Abruzzi fino alla Chiesa di Santa Maria Maggiore (sulla facciata laterale ultima targa dell’itinerario pierrano con la poesia del Natale).

La chiesa, secondo una leggenda un cunicolo la collegava al castello, è uno scrigno di tesori. La parte superiore del XVI sec con interventi barocchi successivi, poggia su un cenobio basiliano trasformato in cripta nel VII-VIII sec.

Qui, oltre al quadro cinquecentesco dell’Assunzione, troverete l’incredibile ambiente interamente ricoperto di affreschi (1547-50) sulla vita di Maria.

Le scene di vita quotidiana realizzate da Giovanni Todisco, vanno dalla nascita della Vergine a S. Anna che ha partorito, il tutto sotto lo sguardo del dio benedicente al centro della volta, contornato da santi, apostoli e profeti.

La raffigurazione di una inserviente di pelle scura testimonia il passaggio dei mori alla Rabatana. Nello stesso ambiente si trova il sarcofago cinquecentesco di due rampolli della famiglia De Giorgiis morti giovanissimi. Nell’ambiente attiguo è alloggiato il bellissimo presepe di pietra di Altobello Persio (1547-50).

Ci sono S. Giuseppe, Maria, l’asino, il bue, angeli musicanti e sopra pastori e Re Magi. La parte superiore della Chiesa ospita nella cappella a sinistra dell’altare il meraviglioso trittico del Maestro di Offida (1340).

Purtroppo, occultate da una protezione, non sono visibili le portelle laterali con scene della vita di S. Giovanni Battista e della Maddalena.

Accanto alla cappella si trovano un crocifisso ligneo del XV sec., l’altare di marmo intarsiato settecentesco, con festoni, uccelli e la Madonna in un tondo laterale e la settecentesca statua lignea della Madonna della Cona con fattezze da popolana; i tursitani le sono molto devoti.

L’acquasantiera e il fonte battesimale cinquecenteschi stanno all’entrata, sotto l’affresco della strage biblica di Sennacherib. Nell’angolo destro del dipinto appare la rocca originaria intatta, con le mura e il profilo della Rabatana.

Continuando lungo via Duca degli Abruzzi si arriva in 100 m. alla Casa etnografica tursitana/’U Strittue, stipata di oggetti di una estinta civiltà agro-pastorale. Ci sono mattonelle raffiguranti scorci di vita contadina, vecchie formelle per fare tegole e mattoni, campanacci, corde di capra, radici di piante trovate lungo i fiumi, pietre psammitiche e un presepe fatto con queste.

Oltre l’ambiente principale si accede alla grotta (III-IV sec. d. C.) scavata nell’arenaria, a temperatura costante tra i 18 e i 22 gradi, con la borraccia islamica rinvenuta qui. A due passi, in via Manzoni, si trova il Palazzo dei Poeti, “tempio” di cultura pierrana e gastronomica di Paolo Popia.

Da qui evocative strade con case restaurate o in rovina, portano in via Ermete Novelli, al vecchio frantoio e alla veduta sullo strapiombo Piccicarello. Sopra il Palazzo dei Poeti si allunga una grande area parcheggio.

Ci si arriva anche in auto dal paese percorrendo via Roma e poi salendo 4 km lungo la Provinciale della Rabatana di Tursi, bella, tortuosa strada in mezzo alla pineta,il polmone verde” del paese.

L’itinerario finisce sopra il Palazzo dei Poeti, la vetta della Rabatana, sull’altipiano con le fondamenta della torre medievale dove è stato creato il punto panoramico.

Tursi, veduta della Rabatana

Era qui che si trovava il castello eretto dai Goti nel V sec. d. C. e poi fortificato dagli arabi. Arrivati a Tursi nell’VIII-IX sec., si insediarono nella “tana dei Saraceni”, la Rabatana appunto, da al-Ribāṭ, villaggio fortificato.

NOTE DI VIAGGIO

La famigliola dalle orecchie verdi a sventola guarda da un terrazzo sgarrupato.

In questa vecchia casa di Tursi, crescono fichi d’india.

Persino sui tetti.

È il benvenuto a chi arranca in salita verso ‘a pitrizze, cordone ombelicale che segna un confine.

In alto il quartiere arabo della Rabatana, in basso i rioni San Filippo e San Michele, matasse di vicoli dove prendono il sole peperoni e svolazzano bucati. Aleggiano anche misteri. E nascono e muoiono eroi che poi tornano sotto altra forma.

A volte trasmutano in pietre, perché in questo mondo i sassi parlano. Altre riappaiono nelle pagine bianche che si riempiono di mari di parole. Quando leggerle riscalda il cuore, allora significa che è nato un poeta. Ecco perché Albino Pierro, non poteva che nascere qui. Il Nobel gli è sfuggito per un pelo, anche per faccende politiche complicate da raccontare.

Leggete Intrigo a Stoccolma di Rocco Brancati e ne saprete di più. La casa natale è occultata dalle linee architettoniche di un paese in bilico su forre, scoscendimenti e jaramme, i burroni.

Le altre vetuste case sembrano rotolare giù. E invece restano aggrappate alla cresta dei costoni rocciosi, vegliate dal monastero fantasma di San Francesco, dall’altra parte dell’abisso.

È dalla grande terrazza di casa che il poeta contemplava il paesaggio. Ne traeva malinconiche ispirazioni. La madre volò in cielo quando aveva pochi mesi. E questo lo segnò tutta la vita.

La poesia che le ha dedicato, A Ravatène, è anche una dichiarazione d’amore al paese natio. “Voglio bene alla Rabatana, perché c’è morta la mamma mia: la portarono bianca sopra la sedia, con me nelle fasce come una Madonna, col Bambinello in braccio…”. La poesia è in dialetto tursitano, lingua che Pierro salvò dall’oblio.

La casa di Albino

“Albino”, racconta Francesco Ottomano, direttore del Parco Letterario Albino Pierro, “iniziò a scrivere nel dialetto locale all’improvviso”. E non smise più. “Il 23 settembre 1959”, appuntava il poeta, “a Roma, di ritorno dalla Lucania, avvertii il bisogno di esprimermi in tursitano. Ero partito dal paese prima del previsto e la partenza, generando in me un senso angoscioso del distacco, mi aveva turbato”.

Lo studio di Pierro a Roma è stato ricostruito proprio qui, nella casa dei genitori. I suoi “arnesi da lavoro”, macchina da scrivere, occhiali, lente, tagliacarte, sigaro, sono riposti sulla scrivania. Natura morta di cimeli in attesa del padrone. Tutto intorno ritratti, lettere autografe, foto di famiglia, la biblioteca che racconta anni di stranianti letture.

La Rabatana, la frontiera e l’erba dei poeti

Quando uno arriva alla petrizze, annusa una frontiera. Il passaggio su selvaggi valloni sembra l’approdo a un girone dantesco. Nessun controllo. È il vento il lasciapassare. Echi e silenzi annunciano un altro mondo, la Rabatana. Un vecchio arco di pietra, strade deserte, gatti annoiati sotto una sedia di paglia. E l’abisso tutto intorno.

Alcune case sono salve, belle e restaurate.

Altre in rovina. Luci e ombre, il bianco e il nero. Severino Salvemini, economista e docente alla Bocconi che una volta passò da qui, disse che la Rabatana dovrebbe essere tra le cento meraviglie del mondo.

Non è chiaro da dove arrivi l’infatuazione. C’è qualcosa nell’aria che stordisce, ammalia. Sarà per i ciuffi di assenzio, l’erba dei poeti maledetti che cresce tra le crepe delle pietre. La vedi, la sfiori e non te ne vuoi più andare.

Il Palazzo dei Poeti, il Simposio Greco e l’emigrato

Tursi, Rabatana, Paolo Popia anima e cuore del Palazzo dei Poeti

Paolo Popia è il visionario che ha creato il Palazzo dei Poeti quando alla Rabatana non c’era nulla. “Un luogo non luogo”, dice. “Il rifugio di chi sa ascoltare la voce delle pietre”. Vent’anni fa se ne stava tranquillo a Firenze. “Lavoravo pochissimo, guadagnavo tantissimo. Ma sono tornato.

Volevo portare avanti il sogno di mio padre”. Morto pochi anni fa, papà Antonio era colto e mite, un poeta, forse anche lui stregato dalla “pianta maledetta”. È per lui che Paolo è rimasto in missione qui alla Rabatana. Per vent’anni, da quando il palazzo era un rudere. Niente tetto, solai distrutti.

E adesso che l’Unesco ha candidato la Rabatana a Patrimonio dell’Umanità, la lucida follia sta per diventare realtà. Da piccolo il padre lo portava a vedere le compagnie teatrali. E così nella sala ristorante del Palazzo dei Poeti, Paolo manda in scena una sorta di rappresentazione.

Il tavolo come simposio greco, luogo di cultura. Prima arrivano i piatti antichi rivisitati dalla compagna Irene, un indimenticabile viaggio tra sapori e profumi perduti. La pasta con la mollica fritta per esempio, i frizzuli, che quando c’era la miseria si metteva al posto del formaggio. “È dal sacrificio che venivano fuori ricette come queste”, spiega.

La cultura enogastronomica di un luogo specchio della sua storia. Satollo il corpo, è tempo di nutrire l’anima. E allora quando cade l’ultima forchetta, Paolo declama poesie pierrane. ‘A Ravatène oppure Pare che tu voglia”, la lirica in cui Pierro fa una metafora della donna paragonandola al vino che sgorga dalla botte spaccata. L’innamorato non vuole perdersi nemmeno una goccia.

E finisce per affogare. Anche Antonio Popia ha dedicato a Tursi una poesia. Sull’emigrazione, U Mgrand: il paese si è spopolato due volte, agli inizi del ‘900 e negli anni ’50, quando tutti partivano per Genova. La Rabatana cadde nell’oblio. Case diroccate, persiane ciondolanti.

Restarono solo anziani appoggiati ai bastoni. Quando Pierro passava da qui, gli veniva in mente la sua nutrice che non aveva il latte.

E così il minuscolo, piagnucoloso poeta lo portavano alle mamme del paese per la poppata. “Incontro ancora vecchiette che mi ricordano il debito”, diceva: Don Albino, io ti ho dato il latte.