Nove musei internazionali, 16 tavole, 300 anni di attesa, un grande ritorno ‘a casa’. È un evento straordinario quello che si celebra a Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni di Bologna con la ricostituzione di uno dei massimi capolavori del Rinascimento italiano: il Polittico Griffoni di Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti torna a splendere nella sua integrità, a 550 anni dalla sua realizzazione e 300 dalla sua disgregazione, in un’esposizione che per la prima volta ne riunisce tutte le parti esistenti, grazie agli straordinari prestiti di tutti i Musei proprietari: National Gallery di Londra, Pinacoteca di Brera di Milano, Louvre di Parigi, National Gallery of Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (VA), Musei Vaticani, Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Collezione Vittorio Cini di Venezia. La mostra, voluta da Genus Bononiae. Musei nella città e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, aprirà al pubblico il 12 marzo prossimo e sarà visitabile fino al 28 giugno 2020.
L’evento si costituisce di due iniziative: una focalizzata sulla pala d’altare, il suo significato e la sua importanza storica, curata da Mauro Natale, in collaborazione con Cecilia Cavalca. L’altra, sull’operato di Factum Foundation e l’importanza delle tecnologie digitali nella tutela e condivisione del patrimonio culturale, curata da Adam Lowe, Guendalina Damone e il team della Fondazione. L’esposizione gode del sostegno e dei Patrocini della Basilica di San Petronio, del Polo Museale e della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna impegnato, con Genus Bononiae, nella promozione della mostra verso il pubblico nazionale e internazionale e nella divulgazione dell’ampia offerta didattica pensata per le scuole di ogni ordine e grado.
Il Polittico Griffoni rinasce a Bologna
La superba pala d’altare dedicata a San Vincenzo Ferrer fu concepita per la cappella di famiglia di Floriano Griffoni all’interno della Basilica di S. Petronio a Bologna. La sua realizzazione, collocata tra il 1470 e il 1472, fu affidata al ferrarese Francesco del Cossa, allora all’apice della sua straordinaria carriera artistica, iniziata intorno al 1456 e stroncata dalla peste nel 1478. I contatti tra l’artista e il capoluogo emiliano, attivi per quasi un ventennio, si tradussero nella realizzazione di alcuni capolavori come l’Annunciazione di Dresda, la Madonna del Baraccano e la Pala dei Mercanti. Il Polittico Griffoni segnò l’inizio della sua collaborazione con il più giovane Ercole de’ Roberti, uno dei più formidabili sodalizi artistici del secondo Quattrocento italiano. Assieme a Cossa e de’ Roberti lavorò alla cornice il maestro d’ascia Agostino de Marchi da Crema. Attorno al 1725 il nuovo proprietario della cappella, il Monsignore Pompeo Aldrovandi, fece smantellare la pala e destinò le singole porzioni figurate a “quadri di stanza” della residenza di campagna della famiglia a Mirabello, nei pressi di Ferrara. Nel corso dell’Ottocento i dipinti entrarono poi nel giro del mercato antiquario e del collezionismo prima di pervenire nei 9 musei, oltre la metà dei quali fuori dai confini nazionali, che oggi custodiscono le opere.
La possibilità di radunare per la prima volta, dopo oltre cinquecento anni, nella città per la quale fu creata l’opera tutti i pannelli esistenti (oltre il 90% dell’opera complessiva) di uno dei massimi capolavori del primo Rinascimento italiano rappresenta un’occasione di straordinario rilievo. Se il primo ad avanzare un’ipotesi ricostruttiva del Polittico fu, nel 1888, lo storico d’arte lombardo Gustavo Frizzoni, soltanto nel 1934 Roberto Longhi nella sua Officina Ferrarese ne immaginò un impianto molto più monumentale, vicino per struttura ai grandi polittici quattrocenteschi. Longhi accostò, infatti, agli elementi individuati da Frizzoni – le tre tavole del registro superiore conservate a Washington: Santa Lucia, San Floriano e la Crocifissione – altri magnifici elementi figurati, tra i quali, i due tondi con l’Annunciazione (Collezione Cagnola). Il ritrovamento, negli anni Ottanta, di uno schizzo del Polittico allegato ad una corrispondenza con Monsignor Pompeo Aldrovandi, fornì la prova documentaria dell’esattezza quasi totale dell’ipotesi di Longhi. La ricostruzione di Cecilia Cavalca, presentata in mostra, che prevede la presenza di almeno 7 figure di santi sui pilastri laterali, è ad oggi la più attendibile. La sezione della mostra – al primo piano di Palazzo Fava – è stata progettata da Roberto Terra dello Studio Cavina Terra.
“Il Polittico nasce in un momento cruciale della storia dell’arte italiana – e dunque mondiale – cui Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti partecipano appieno. – spiega Mauro Natale, curatore della mostra – Illustrare il risultato della loro collaborazione significa evidenziare il rilievo di Bologna nel più ampio panorama dell’arte Rinascimentale. Con il Polittico si inventa un nuovo canone di resa dello spazio e dei volumi. La strada verso la modernità indicata dai due ferraresi nel Polittico Griffoni può considerarsi alternativa a quella di Piero della Francesca e Andrea Mantegna. Si tratta in qualche modo di un ‘mosaico figurativo’, che corrisponde poi al destino della dispersione delle varie parti. Sarebbe davvero straordinario – conclude Natale – se la mostra scatenasse una sorta di gara alla ricerca degli elementi mancanti”.
Tecnologie Digitali per la tutela
Accanto all’esposizione delle singole opere al Piano Nobile di Palazzo Fava i visitatori potranno godere della ricostruzione del Polittico operata da Adam Lowe, fondatore di Factum Foundation, che negli ultimi 20 anni si è dedicata alla registrazione, all’archiviazione, al restauro digitale ad alta risoluzione e alla produzione di copie esatte di opere d’arte che uniscono tecnologia e artigianato. L’iniziativa ha avuto origine da una
Collaborazione tra la Basilica di San Petronio, lo studio Cavina Terra Architetti e Factum Foundation, che a partire dal 2012 ha documentato i 16 pannelli del Polittico Griffoni, recandosi in ciascuno dei Musei proprietari. L’esposizione al secondo piano mostrerà come le nuove tecnologie diano vita al patrimonio culturale, dimostrando che le opere non sono oggetti fissi nei musei ma forze dinamiche che riflettono come sono state concepite, come vengono valutate, comprese e condivise.
“L’aura di un’opera d’arte, quella cosa immateriale che è stata usata per definire la sua originalità, è in realtà la sua presenza materiale. Attraverso la registrazione ad alta risoluzione, la mediazione digitale e le nuove tecnologie di visualizzazione e ri-materializzazione, possiamo avere una più profonda comprensione degli aspetti materiali che rendono qualsiasi oggetto quello che è. Questa prova rivela non solo come è stato realizzato un oggetto, ma anche come è stato curato, valutato, trasformato e spostato da una città all’altra o da un tipo di istituzione a un’altra” spiega Adam Lowe.
La sezione della mostra curata da Adam Lowe, Guendalina Damone e il team di Factum Foundation e progettata da Charlotte Skene Catling, offrirà al pubblico una panoramica delle tecnologie più avanzate per la tutela e la condivisione del patrimonio culturale, a partire dalla ri-materializzazione del Polittico Griffoni fino alla ricostruzione di opere e documenti andati perduti.